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Nel cuore degli agrumeti siciliani è in atto una crisi. Alessandro Scire, coltivatore di agrumi della Piana di Catania, sta testimoniando in prima persona gli effetti devastanti della continua carenza d'acqua. Gli aranci, un tempo rigogliosi, ora sono aridi, i loro frutti rachitici e invendibili a causa della mancanza d'acqua. Questo non è solo un problema localizzato; minaccia la spina dorsale dell’agricoltura siciliana, che da secoli fa affidamento sulla coltivazione degli agrumi.
Le radici dell'industria agrumicola siciliana sono profonde, risalgono all'era islamica dell'isola e fiorirono durante il XIX secolo. Da rimedio contro lo scorbuto a merce di esportazione redditizia, gli agrumi hanno plasmato il paesaggio agricolo e l'economia della Sicilia. Tuttavia, l’attuale crisi idrica rappresenta una sfida senza precedenti, con questo inverno che segna il periodo più secco mai registrato dal 19.
Per gli agricoltori come Scire la situazione è disastrosa. Con 80 ettari di aranci sotto la sua cura, il futuro sembra cupo poiché la siccità non mostra segni di allentamento. Nonostante gli sforzi per mitigare l’impatto, come l’impiego di tecniche di risparmio idrico e l’adattamento delle pratiche di coltivazione, la portata della crisi continua ad aumentare.
La storica carenza idrica in Sicilia non è solo una battuta d’arresto temporanea, ma una profonda minaccia al patrimonio agricolo e alla stabilità economica della regione. È necessaria un’azione urgente per sostenere gli agricoltori, investire in pratiche sostenibili di gestione dell’acqua e salvaguardare l’industria agrumicola siciliana per le generazioni a venire.